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Un quadernino sbagliato

Mi fermo e osservo il vuoto. Non ci riesco a tenere gli occhi attaccati alle pagine bianche, mi accecano. Gli spazi larghi, dalle linee sottili, azzurrine, mi irritano.

La mia mente ha idee, eppure, con la penna piena di inchiostro nero, mi fermo e osservo il vuoto. Mi ci vogliono ore a trovare le parole perfette. La mia mente nuota nei ricordi; questi recitano poesie, implorano di poter uscire e di venir trascritte.

Ma questo è un quadernino sbagliato.

 

Il miglior quadernino che io abbia mai avuto, aveva la copertina verde. Mia sorella non lo aveva nemmeno impacchettato. Le pagine erano gialle come fossero già vecchie.

Quello sì che era un quadernino!

Non mi fu difficile riempirlo.

 

Questo, dove scrivo ora, mi risulta insopportabile.

E ancora fisso il vuoto.

Persino al tatto mi irrita. Le pagine sono scivolose, come plastificate.

Chi lo ha creato questo mostro?

Sicuro non è stato fatto con l’amore per l’arte.

Il quadernino sbagliato lo comprai a Siviglia, in Spagna. Lo scelsi per caso.

Subito dopo andai al grosso parco Alamillo, appoggiandomi a un tavolino in legno, sotto a un albero d’arance. Aprii la prima pagina e provai a scrivere.

La penna mi scivolava fra le dita, cadendomi dalle mani. Quindi mi distraevo. Spiegazzavo gli angoli delle pagine quasi strappandole.

Tornai a casa senza aver scritto una parola. Ancora non avevo capito!

 

La mia coinquilina, a Siviglia, stava davvero male per i dolori mestruali. Tra vomito, diarrea e svenimenti improvvisi. Io le portavo buste di plastica a letto e, una volta finito di usare il bagno, l’accompagnavo in stanza per paura che cadesse di colpo e sbattesse la testa.

Non lo so, come mai scrivo di questo!

Questo quadernino è sbagliato e io non lo sopporto.

Fisso il vuoto.

Dove sono le mie idee?

 

Svaniscono al solo guardarti!

È colpa tua!

Mia pure, che ti ho comprato e che non riesco a buttarti.

Prima di consumarti.

Che non riesco a riempirti, come ho sempre fatto con gli altri.

 

Mi fermo.

Fisso il vuoto. Lo chiudo.

Pure la copertina mi dà noia. Rossa. Sembra un quadernino poliziotto. Pronto a mangiarti vivo.

 

In Germania, invece, mi nascondevo all’oscurità, nei bar-caffetteria dai costosi caffè in tazza grande.

Fuori c’era il delirio sociale e io provavo a documentarlo. C’erano le manifestazioni, avevo scritto, e le anti-manifestazioni dei neo-nazisti inferociti.

Avevo scritto di Ahmed, il proprietario di un piccolo ristorante dove il fine settimana lavavo i piatti. C’avevo provato, ma questo quadernino sbagliato è dannato, io ho scarabocchiato ogni cosa e ho coperto tutto.

 

Coprirei me stesso di tutto l’inchiostro che non è stato capace di toccare la tua carta.

Coprirei me stesso per la vergogna.

Con quelle pagine, mi mangerai le dita.

Le righe azzurrine, mi imprigioneranno i polsi, come manette fredde.

TI VOGLIO CONSUMARE

Come hai consumato ogni briciola della mia ispirazione.

TI VOGLIO CONSUMARE

 

Perché è tanto facile mentire? Basta donare un pezzo di stomaco alle tue giornate.

Vivere soffrendo in silenzio, basta solamente disprezzarsi. Scrivo.

Mi chiedo come si può smettere di mentire? Certo che preferirei, mille volte, dire la verità. Poi, però, guardo la sua faccia e mi zittisco. Deglutisco le mie sincerità, ruttando il falso. Abbasso la testa e sorrido.

Ripeto: Perché è tanto facile mentire? Mento pure a me stesso, per paura di affrontarmi. Scrivo.

C’ ho provato, a usare il quadernino. A usarlo come diario, se per le storie non era il giusto, scrivendo delle mie emozioni più profonde e nascoste. Ma questo mi si sta ribaltando contro, dandomi dello stronzo! Giudicando la mia calligrafia, i miei errori grammaticali e deridendo le mie paure.

 

Non sei buono manco a questo!

Allora perché esisti?

Dovrei strapparti

Ridurti

In piccoli pezzi

Forse dovrei bruciarti

Ridurti

In polvere

Prenderti e soffiarti

Perderti e scordarti

 

Mi fermo.

Fisso il vuoto.

 

TI VOGLIO CONSUMARE

E

Scrivo

Ogni

Singola

Parola

Su

Righe

Diverse

Per

Arrivare

Più

Velocemente

Alla

Tua

FINE.